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Quando i debiti sono deducibili nella determinazione dell’imposta di successione

Quando i debiti sono deducibili nella determinazione dell’imposta di successione

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Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9957 del 15.05.2015) ha nuovamente posto al centro dell’attenzione la deducibilità delle passività contratte dal de cuius ai fini della determinazione dell’imposta di successione.

Soluzioni Debiti

Il punto cardine della sentenza emessa dagli “Ermellini” riguarda la tipologia di debiti presenti, secondo questa: non è necessario che le passività siano state contratte in relazione specifica ai beni compresi nell’attivo ereditario, è bensì riconosciuta la possibilità di dedurre debiti diversi da questi. Si è ribadito in pratica il principio secondo cui sono deducibili tutti i debiti, a condizioni specifiche stabilite dagli articoli 21 e 12 del D.Lgs. n.346/1990.

Limiti Condizionali

I limiti condizionali prevedono:

  • i debiti del defunto devono risultare da atto scritto di data certa anteriore all’apertura della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo;
  • i debiti inerenti all’esercizio di imprese sono ammessi in deduzione anche se risultano dalle scritture contabili obbligatorie del defunto regolarmente tenute a norma di legge;
  • se il defunto non era obbligato alla tenuta delle scritture contabili, i debiti verso istituti di credito o aziende sono ammessi in deduzione anche se risultano da eventuali scritture contabili obbligatorie, regolarmente tenute a norma di legge, del trattario o del prenditore o dell’azienda o istituto di credito.

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Il caso

Riguarda l’erede che ha dichiarato la presenza di quote di partecipazione in una S.r.l e di passività deducibili.

Queste ultime si riferivano ad un muto fondiario, contratto dal defunto, per la ristrutturazione di una serie di immobili di proprietà della società. L’ufficio delle entrate di Firenze, non ammetteva la deducibilità di alcun onere inerente la quota di partecipazione posseduta dal de cuius. L’erede valutando la pretesa dell’ufficio di Firenze infondata ricorreva presso la commissione tributaria provinciale.

In sede di ricorso di primo grado la commissione tributaria escludeva anch’essa la possibilità di deduzione del muto fondiario poiché si riferiva alla ristrutturazione di beni in proprietà di un terzo (la S.r.l) ancorché riferita ad una partecipazione detenuta dal de cuius di 1/3.

Dal giudizio d’appello in secondo grado invece la Commissione ha accolto il ricorso nei profili di merito, in ordine alla presenza di vincoli immobiliari classificati d’interesse storico, e, pertanto, la censura preliminare del contribuente circa la violazione di norme di accertamento e liquidazione dell’imposta di successione.

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Cassazione e gradi di giudizio circa la Soluzione Debiti

A ribaltare la posizioni dei primi due gradi di giudizio ci ha pensato la Cassazione, nello specifico ha posto osservazioni circa il fatto che il mutuo fosse stato contratto dal de cuius non per l’acquisto degli immobili bensì per la loro ristrutturazione. Da tale fatto non poteva essere rilevante l’art. 22 comma 1 D.Lgs. 346/1990, secondo cui è esclusa la deducibilità dei debiti contratti per l’acquisto di beni non compresi nell’asse ereditario. E’ emerso quindi il profilo della titolarità del debito in capo al defunto, interamente deducibile, e riferito ad oneri sostenuti per la ristrutturazione. 

In definitiva, dal profilo delineato dalla sentenza della Suprema Corte è emerso il principio della titolarità del debito, previsto dall’art. 20 de D.Lgs. 346/1990, che garantisce la deducibilità delle passività, senza esclusioni, nei limiti stabiliti dagli art.li 21-24 del decreto di cui sopra.