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Cancellazione Registro delle imprese: atto di accertamento giuridicamente inesistente

Cancellazione Registro delle imprese: atto di accertamento giuridicamente inesistente

Cosa fare quando la cancellazione dal Registro delle imprese rende l’atto giuridicamente inesistente

Una delle questioni più controverse in tema civilistico-tributario è rappresentata dall’estinzione definitiva delle società a seguito dalla cancellazione dal Registro delle imprese. Nella fattispecie l’atto in questione costituisce l’adempimento finale della fase liquidatoria societaria, essa si sostanzia nell’istanza di cancellazione da parte del liquidatore a seguito all’approvazione del bilancio finale di liquidazione.

Complessità del caso

Il caso diventa complesso poiché, data la personalità giuridica delle società di capitali, al momento della cancellazione il soggetto giuridico in questione cessa di esistere contestualmente a tutti i rapporti presenti e futuri. Per il passato invece, l’art. 2945, al secondo comma, ripone la possibilità di far rivalere i creditori nei confronti dei soci qualora l’estinta società fosse stata insolvente, e comunque entro un anno dalla cancellazione per delle somme corrispondenti a quelle percepite dai soci come da bilancio di liquidazione.

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Il tema chiave a questo punto potrebbe riguardare l’impossibilità per l’Amministrazione Finanziaria di riscuotere imposte dirette e indirette, contributi previdenziali, ecc. non pagati dalle società e notificati in data successiva alla cancellazione. Nonostante il comma 4 dell’art. 28 del D.lgs. n.175 del 21/10/2014 riporti: “Ai soli fini della validità e dell’efficienza degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”, una società estinta non può stare in giudizio.

Giuridicamente inesistente

E’ quanto affermato da una sentenza della Cassazione (6070/1/2 del 2013) che ha posto certezze circa il fatto che una società estinta è giuridicamente inesistente. Nonostante il D.lgs. 175/2014 abbia definito la data del 13/12/2014 come “spartiacque” tra atti invalidi (per le società cessate entro tale data) e validi (per atti notificati successivamente), nulla cambia in termini sostanziali se l’atto viene notificato successivamente all’estinzione della società. In pratica il legislatore alla fine dell’anno 2014 ha voluto “risuscitare” la capacità processuale di un soggetto ormai “defunto”.

La questione è diversa invece per gli atti che sono stati notificati alla società prima della cancellazione. In tale fattispecie pur estinto il soggetto in causa, per effetto della capacità successoria (art. 2495 e 2312 C.C), gli ex amministratori, soci e liquidatori potrebbero essere “tirati in ballo” per esercizio dell’azione di responsabilità da parte dell’Amministrazione finanziaria come da art.- 36 del Dpr 602/73.

Competenze processuali

Va inoltre considerato che, la “competenza” processuale per un’eventuale azione di responsabilità da parte delle Entrate nei confronti dei soggetti precedentemente citati (ai sensi dell’art. 2495 C.C.) è del giudice ordinario. Qualora l’Agenzia delle Entrate valutasse l’alternativa di rivolgersi alla magistratura tributaria dovrà necessariamente avvalersi dell’azione di responsabilità stabilità dall’art. 36 del Dpr 602/73.

Dall’applicazione dell’articolo 36 si differenzieranno:

  • gli atti emessi a società estinte PRIMA del 13/12/2014: riguarda soltanto l’IRES (no sanzioni) e presuppone un atto validamente notificato (soggetto giuridico NON estinto);
  • gli atti emessi a società DOPO il 13/12/2014: riguarda tutti i tributi iscrivibili a ruolo o attraverso atto di accertamento esecutivo, presuppone sempre la corretta notifica “a monte” del soggetto emittente (invalidità degli atti notificati in data successiva alla cancellazione).

C’è quindi da domandarsi se in base all’art. 28 del D.lgs. 175/2014 sia valido un atto emesso nei 5 anni successivi all’estinzione della società. A detta dei giudici della Suprema Corte: no! La motivazione di fondo va ricercata nell’impossibilità di impugnazione di un atto da parte di un soggetto estinto che non può stare in giudizio.