L’art. 230 –bis c.c. individua con precisione i diritti amministrativi e patrimoniali (ad esempio, il diritto del collaboratore ad ottenere, all’atto della cessione dell’impresa familiare, la liquidazione dell’incremento di valore dell’azienda) che spettano al familiare che lavora in via continuativa nell’impresa familiare.
Possono far parte dell’impresa familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo grado ex art. 5, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986.
L’impresa familiare presenta una natura individuale e non collettiva e, pertanto, l’unico imprenditore è il titolare. I redditi delle imprese familiari sono attribuiti ad ogni familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività nell’impresa proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili e comunque nella misura massima del 49%, nel rispetto di ben determinate condizioni tassative:
All’imprenditore il reddito dell’impresa familiare è imputato nella misura minima del 51% (ad esempio, il reddito gli compete per il 30%, mentre il residuo 30% spetta ai familiari collaboratori).
Il provento che scaturisce dalla cessione a titolo oneroso dell’azienda familiare è un reddito di impresa ai sensi dell’art. 55, del D.P.R. n. 917/1986, a prescindere dalla circostanza che l’azienda sia stata ricevuta dal cedente per donazione o per acquisto o ancora per successione ereditaria.
Non è, di conseguenza, corretto classificare tale componente positivo di reddito tra i redditi diversi a norma dell’art. 67, lett. h-bis), D.P.R. 917/1986, così si è espressa la Risoluzione dell’Agenzia delle entrate 31.8.2015, n. 78/E.
La Risoluzione n. 78/E/2015 ha chiarito la tassabilità esclusiva in capo al titolare della plusvalenza di cessione realizzata. Rimane così escluso che il collaboratore familiare, anche quando presti la propria attività lavorativa in via continuativa nell’impresa, debba sottoporre ad imposizione la plusvalenza che gli è riconosciuta pro quota.
La plusvalenza derivante da cessione dell’azienda familiare può essere, in alternativa, tassata secondo due modalità:
L’imposizione separata è consentita solamente se l’azienda dell’impresa familiare è posseduta da più di cinque anni.
Il computo del quinquennio che dà il diritto di accedere al beneficio della tassazione separata deve avvenire tenendo conto anche del periodo di esercizio in capo al donante, nel caso in cui l’azienda sia pervenuta al cedente in seguito ad atto di donazione o successione ereditaria in continuità di valori fiscali ai sensi dell’art. 58, co. 1, del D.P.R. 917/1986 (Risoluzione dell’agenzia delle entrate n. 78/E/2015).
Va precisato che occorre tenere distinta la componente straordinaria positiva del reddito di impresa (plusvalenza) che va sottoposta ad imposizione separata per non farla concorrere al reddito di impresa ordinario da imputare per trasparenza sia al titolare sia ai collaboratori pro quota.
Giovanna Carabini vende nel 2015 l’azienda familiare di cui è titolare e che gestisce con il nipote Ettore figlio del fratello (quota della titolare 62% e del collaboratore 38%) realizzando una plusvalenza di € 200.000. L’azienda è stata ricevuta in continuità di valori fiscali nel 2012 in donazione dal padre Saverio, che la gestiva dal 2002. La plusvalenza di € 200.000 che viene generata dalla cessione a titolo oneroso dell’azienda familiare costituisce un reddito di impresa, è tassabile unicamente in capo alla titolare Giovanna Carabini ed è tassabile sia in via ordinaria in un unico esercizio che in via separata (infatti, l’azienda è stata costituita da oltre cinque anni in quanto il quinquennio si computa dal 2002 e non dal 2012).