Scopo di questo articolo è quello di introdurre quei fattori chiavi e modus operandi innovativi che possono supportare le startup a muoversi oltre la dimensione della semplice business idea.
La definizione e lo sviluppo di una business model e di un business plan rappresentano aspetti strategici rilevanti per una startup. Prima di addentrarci nell’argomento e andare a conoscere il mix ottimale di fattori chiave che deve miscelare un enterpreneur, vale la pena soffermarsi sulle definizioni di alcuni termini come quello di startup, business model e business plan.
La startup sicuramente non va confusa con un’azienda già rodata, ma come indicato da Steve Blank (autore del libro The Startup’s owner manual) va considerata una temporary organization disegnata per ricercare un business model scalabile e ripetibile.
Il Business model, secondo Alexander Osterwalder (ideatore del Business Model Canvas e autore del famoso libro Business Model Generation), descrive la logica con la quale un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore.
Un’azienda crea valore per i propri clienti quando li supporta a: risolvere un determinato problema, soddisfare un bisogno o eseguire una determinata attività.
Il Business model ruota intorno al cliente: è infatti il metodo costruito da un’azienda, che serve per acquisire, servire e mantenere un cliente.
In estrema sintesi il Business model può presentare differenti finalità tra cui:
Il Business Plan: è quel documento che evidenzia una serie di obiettivi di business da raggiungere e quali sono le risorse e gli strumenti necessari per raggiungerli.
Pertanto il Business Plan ha prevalentemente una doppia finalità:
Dalle suddette definizioni pertanto si può comprendere come il business model possa essere considerato una sorta di motore del business plan; è chiaro e fuor di dubbio che i due tools sono diversi e non sono la stessa cosa. Infatti il business plan riporta nei suoi documenti che cosa serve, quanto tempo occorre e quanti soldi si devono investire per far funzionare il business model.
L’alchimia perfetta deve poi aggiungere altri ingredienti core, che rientrano nella sfera del controllo di gestione, degli aspetti finanziari, della valorizzazione delle competenze delle risorse umane e nelle logiche di organization innovativa che opera secondo le logiche di una customer company (www.b2corporate.com/customer-company-in-3-step).
In altre parole le startup devono operare come learning organization, che evolvono i propri business model e i prodotti nel tempo sulla base dei bisogni e di quanto i potenziali clienti vanno realmente cercando in termini di bisogni e risoluzione di problemi.
Gli step evolutivi devono essere monitorati costantemente con delle metriche ben definite al fine di evitare di perseverare troppo a lungo su una determinata idea e farsi inghiottire da un ottimismo sfrenato, che se da un lato può contribuire positivamente al successo, ma dall’altro può rendere poco visibili determinate criticità e rendere successivamente meno semplice lo switch verso altri percorsi di business.
Sulla questione della misurazione del tasso di successo per le startup innovative può essere interessante rimandare al libro The lean Startup redatto da Eric Ries, dove tra le altre cose emerge il concetto di Innovation Accounting, che può essere intesa come una sorta di metrica per le early stage startup. La finalità dell’innovation accounting è quello di spingere ad anatomizzare le cause effetto che progressivamente si emergono, e che condizionano l’evoluzione della startup.
L’Innovation Accounting è utile per tenere sotto controllo i fattori di perfomance attraverso metriche e strumenti di monitoring.
Gli strumenti di accounting devono essere visti dallo startupper come il mezzo per appurare come il progetto si sta muovendo. L’obiettivo deve essere quello di apprendere come implementare innovando per raggiungere un business sostenibile. Eric Ries evidenzia la presenza di 3 diversi step consequenziali per l’innovation accounting:
Il pensiero di Peter Drucker è molto profondo anche se poi non sempre è del tutto fondato. Chi trova una business idea vincente e va ad aggredire mercati inesistenti offrendo nuovi prodotti o servizi (strategia oceano blu) si trova comunque nella posizione di poter gestire un vantaggio competitivo di un certo tipo. Spetta poi a chi ha brevettato l’idea intraprendere un percorso dinamico e proattivo capace di lasciare indietro i competitor che progressivamente si spalleggeranno per andare a conquistare quote di mercato.
Pertanto dalla logica del Minimum Viable Product si evincono 2 obiettivi fondamentali e strategici:
a) impedire la realizzare prodotti e servizi che il cliente non vuole
b) massimizzare l’apprendimento per ogni euro speso
Lo startupper deve muoversi secondo una dimensione volta a favorire l’analisi dei big data archiviati, percepire dove il progetto sta andando, e quali saranno i futuri scenari che porteranno a modificare il business model di partenza. Il working progress del progetto deve essere seguito step by step e deve consentire il tracciamento del progresso raggiunto. Spesso può essere molto utile porsi delle domande a 360° come quelle indicate qui sotto:
– Perche si vuole creare un nuovo prodotto?
– Come voglio creare questo prodotto?
– Quali vantaggi posso avere implementando una strategia di MVP?
Queste riflessioni portano in primo luogo a considerare il cliente come una parte attiva del processo, un driver del prodotto, che può contribuire a ridurre il gap relativamente alle caratteristiche mancanti, nel caso in cui il prodotto/servizio abbia come scopo quello di risolvere un problema; in secondo ci permettono di avere una big vision attraverso piccole migliorie senza necessariamente scivolare in un circolo vizioso. Infine richiede un costante orientamento all’iterazione del processo.